Nessun sogno è mai stato così insensato come la sua spiegazione. (Elias Canetti)

domenica 29 luglio 2012

THE PRESENCE

Vi siete mai chiesti cosa si prova a convivere con un fantasma?
La risposta l’abbiamo in questo film.
Se non si tratta di uno spettro inglese old style, catene sferraglianti e ululati notturni; se non è un nipponico rancoroso intenzionato a terrorizzarvi a morte (letteralmente); se non è il poltergeist che vi sveglia la notte per gettare all'aria il servizio di porcellana di nonna... beh, può essere un'esperienza incredibilmente noiosa.
E tale infatti si rivela per la protagonista, biondina introversa (una ritrovata Mira Sorvino caruccetta... ma io la ricordavo strabonazza, ma com'è? mah!), che decide di andare a vivere tutta sola nella casa di famiglia, una bella baita isolata in un bosco in mezzo ad un'isola priva di corrente elettrica e linea telefonica (nient’altro?).
Per inciso il luogo è splendido, se dovessi avere una simile insperata eredità mi trasferirei senza se e senza ma, a costo di affrontare un esercito di fantasmi.
Comunque... Il fantasma in questione è un giovane uomo, belloccio, truccato tipo "vampiro-pescelesso-Twilight" con tanto di capello laccato, che per i primi 20 minuti del film si limita a guardare imbronciato Mira fare delle cose. Il voujerismo deve essere il peccato principe dell'Aldilà, a quanto sembra. Il suo concetto di “terrorizzare i viventi” è accendere il vecchio grammofono di notte.
A questo punto l'arrivo di un terzo personaggio ci salva da un'ora e mezza di infatuazione ultraterrena non consumata. Si tratta del legittimo fidanzato di Mira, una faccia di rara antipatia, che ci fa subito parteggiare per il povero e timido fantasma che purtroppo non deve avere alcun contatto con i suoi colleghi del Sol Levante, che avrebbero fatto a pezzi seduta stante l'odioso terzo incomodo e sputato i suoi resti nel gabbiotto della toilette in mezzo al bosco (non è una battuta, il gabbiotto c'è ed è luogo di spavento per i protagonisti che a turno ci vanno a fare i bisogni e si trovano bersagliati da uccelli morti... nel senso di volatili, nell’altro senso assolve il ruolo egregiamente già il fidanzato).
La storia si "sviluppa" con il rancore (catatonico e inespresso, altro che The Grudge) del nostro amico impalpabile, e dell'apparizione di altri fantasmi, ben più terribili, che emergono dal passato di Mira: una brutta storia di una violenza carnale perpetrata dal padre che le fa vedere il suo fidanzato (antipatico ma onesto, purtroppo) sempre più in cattiva luce.
E il nostro fantasma... sarà messo alla prova da "altre presenze”, fino ad un finalone di buoni sentimenti con tanto di angeli e diavoli (sì, intendo in maniera letterale.)
Che dovrei dire adesso? È uno di quei casi dove il sarcasmo è talmente facile che sembrerebbe di sparare sulla Croce Rossa. Il film fila via alternandosi tra noia e tedio (l'interesse è capire la sottile differenza tra i due sentimenti) con i soli picchi di tensione raggiunti quando i due personaggi vanno a fare la cacca nel gabbiotto (sempre di notte, ovviamente).
Il regista non ha assolutamente nessuna idea di come causare un minimo di suspence, o anche di semplice inquietudine, e il tutto fila via in una regia da film televisivo statunitense, dove ci si aspetta (augurandoselo tra l'altro) che da un momento all'altro esca fuori Chuck Norris nel ruolo della guardia forestale a prendere a pizze fantasmi e diavoli.
Che poi... lo spunto di partenza non sarebbe neanche male. Lasciatemi sognare per un momento.
Plot di Massimiliano. Una donna va in una casa isolata in un bosco, tormentata dai ricordi di una violenza carnale subita in tenera età (e già psicologicamente sarebbe un bel problema cercare di spiegare perché se ne ritorna da sola nel luogo che l'ha vista soffrire invece di fuggire più lontana possibile... ma evidentemente gli autori non si sono soffermati su tale piccolezza). Nella casa c'è un fantasma che in qualche maniera si innamora di lei. Poi viene il fidanzato e il fantasma si incazza.
Bene, la mia sfida, se fossi stato l'autore, sarebbe stata quella di NON mostrare mai il fantasma. O meglio mostrarlo attraverso la sua assenza, i segni che lascia. Tutto un alfabeto che la donna comincia a interpretare, mentre l'insofferenza del fidanzato cresce, mutandosi in malvagità, quasi per osmosi dalla casa, dove riaffiorano i mai sopiti orrori.
Ecco, io sarei partito da questo... ma non sono un regista hollywoodiano, purtroppo.
Se non si era capito, da non vedere assolutamente, a meno che non siate fan sfegatati della Sorvino.
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venerdì 27 luglio 2012

MALEFIQUE

Tra le prime pellicole dell’ondata di orrori oltralpe di inizio millennio, Malefique è una piccola perla, grezza, non rifinita, ma che vale comunque la pena vedere.

Storia claustrale, se non proprio claustrofobica, che si svolge quasi interamente tra le quattro mura di una cella (solo ad certo punto i protagonisti riescono ad uscire dal loro loculo… per entrare in un’altra cella, senza porte stavolta!), Malefique deve la sua parziale riuscita più che altro alla bravura dei quattro attori e alle particolarità grottesche dei personaggi che interpretano.

Un anziano bibliomane uxoricida, uno spensierato giovane cannibale tardo di mente che si fa tagliare via le dita come svago, un omone transgender con delle bellissime tette e un cinico imprenditore solo apparentemente spaesato sono i quattro compagni di cella in una prigione tetra e oscura.

Una notte da una crepa nel muro sbuca fuori un libro (e anche una gran quantità di blatte, ma quelle non sono malefiche, solo schifose). Il libro è il diario del precedente occupante della cella, un serial killer occultista, che ha diligentemente riportato sulle pagine le formule negromantiche per evadere dalla prigione.

È evidente che nessuno dei protagonisti ha mai letto Lovecraft, altrimenti avrebbero saputo che, in questi casi, i libri di potere portano sempre una estrema sfiga (Necronomicon in testa) e il prezzo da pagare per i maghi fai da te è sempre altissimo.

La citazione di Lovecraft non è peregrina perché sono evidentissimi i riferimenti-omaggio, uno per tutti il nome del terribile dio Yog-Sothoth, il mostruoso Guardiano della Soglia, riportato in calce tra le pagine del libro.

Il film mantiene inalterato il suo interesse per tutto il tempo che i quattro cominciano a “fare conoscenza” con il libro, che in effetti è di fatto il quinto personaggio, silenzioso ma piuttosto attivo. Non mancano scene disturbanti come il collage di vagine attaccato alla parete, “opera d’arte” del giovane ritardato, che in una visione alla Ken Russell prende vita (e risulta tutt’altro che eccitante…), oppure la parete di pietra che decide di farsi una sgranocchiata di dita umane e per finire una “morte aerea” tutt’altro che piacevole, il tutto supportato da una sulfurea fotografia (sembra di essere in una cella medievale, altro che anni 2000) e, come ho già detto, una recitazione più che dignitosa.

Il tutto si smonta un po’ sul finale, che si banalizza e diventa leggermente moralistico, ricorda infatti molto le chiusure di telefilm tipo “Twilight Zone”. Deboluccio, in effetti. Non pregiudica a mio parere un prodotto dignitoso, se pur non eccelso.

Da vedere, per gli appassionati s’intende.

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giovedì 26 luglio 2012

RUE SAINT-JULIEN

Chiedere asilo sotto altre stelle, imparare a vivere di prugne in salamoia e Beaujolais. Esibire con sfrontata guasconeria la propria bruttezza come opera d’Arte, come un vecchio e sconcio Sileno. Al mattino raccogliere la condensa dei sogni sui vetri degli abbaini. Percorrere gli anni che restano all’incontrario, verso una gloriosa e infantile senescenza, dimenticando un pezzo al giorno di quello sconosciuto che gli altri per una vita si sono dati tanta pena di importi.

A Cat in Paris

martedì 24 luglio 2012

Cronache dalla Terra Paurosa

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"Nel Regno del Belsogno vivono tutti i sogni belli. Avete presente quella volta che avete sognato di tuffarvi in un coppa all’amarena gigante? Oppure quando un buffo signore alto come un barattolo vi consegnò le chiavi del negozio di giocattoli più grande del mondo? Ebbene, nel Regno di Belsogno, da qualche parte, ci sono anche quei sogni lì.
Nella Terra Paurosa invece è tutta altra storia.
Qui rintocca sempre l’orologio della mezzanotte, l’aria scura è mossa dal battito di ali di pipistrello, e tra le nuvole spigolose ridacchiano le streghe a cavallo di vecchie scope di saggina e aspirapolveri (queste sono chiamate streghe progressiste).
Qui vivono tutti i brutti sogni della notte, gli Incubi: mostri pieni di tentacoli con tanti occhi, uomini neri che vivono negli armadi, dentiere ridacchianti e water indemoniati.
È un posto orribile direte voi… beh, non così tanto, sapete?
A questo punto dobbiamo capirci bene. Non tutti gli incubi sono così cattivi come di solito si immagina. Anzi, vi posso dire che io ne conosco molti, di incubi, ed alcuni di loro sono diventati ottimi amici.
Il fatto è che è il loro dovere fare paura, altrimenti che incubi sarebbero?
E vi dirò una cosa che forse vi stupirà: avere paura ogni tanto fa bene!
Non dovete vergognarvi di spaventarvi, ad esempio quando di notte le tende si muovono e vi sembra che qualcuno stia camminando nella vostra stanza. La paura ci fa crescere e ci rende forti. E sapete? Da quando mi sono fatto amico molti incubi, ho sempre meno paura."

MUTANTS

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Prima di La Horde, la nouvelle vague horror francofona provò a cimentarsi nel genere zombie con questa pellicola molto interessante, se pur non pienamente riuscita.
La storia comincia in media res, nel pieno dell’azione. Non c’è alcuna spiegazione sui motivi dell’epidemia in corso, ormai tra le situazioni drammaturgiche l’Apocalisse Zombie è assurta a icona, alla stregua del detective che aspetta la femme fatale nel suo studio sorseggiando whisky o dell’invasione aliena.
Marito e moglie, entrambi medici, cercano scampo sulle nevi delle Alpi, accompagnati da una soldatessa che si rivela pericolosa quanto gli “zombie”.
Questi ultimi è improprio definirli tali perché sono del genere “28 giorni dopo”, uomini ancora vivi ma infettati da un terribile virus che li rende mostruosi, incredibilmente aggressivi e antropofagi.
La location è il primo punto di forza di questo film, impreziosita da un’eccellente fotografia.
Le valli innevate e silenziose creano un perfetto fondale dove la minaccia si percepisce da lontano, quasi come una vibrazione malevola, annunciata da lontane urla inumane e dalle figure contorte e annerite che corrono fuori dal bosco.
I due protagonisti trovano temporaneo rifugio in una grande struttura abbandonata, che non può non essere un omaggio all’Overlook Hotel di Shining (e d’altronde il film abbonda di citazioni, Romero in primis).
Qui comincia la parte più interessante del film. L’uomo è stato infettato dal morbo. Entro tre giorni diventerà un “mutante”.
Una storia ben riuscita è fatta essenzialmente delle decisioni che prende un personaggio , con cui lo spettatore può entrare in empatia (che non significa condividerle, anzi la maggior parte di volte negli horror ti verrebbe da tirare qualcosa addosso ai protagonisti per la loro incredibile capacità di scegliere sempre l’opzione peggiore).
È comprensibile che la protagonista posticipi di volta in volta la logica e inevitabile decisione, ovvero quella di uccidere il suo uomo e liberarlo dalla maledizione del morbo, e si aggrappi disperatamente a ogni più flebile speranza, tentando una difficile trasfusione, ad esempio.
Intanto la sensazione di pericolo cresce: di fuori i mutanti che vagano e dentro la malattia che trasfigura il protagonista.
Qui si ha proprio la sensazione che il film arrivi ad un bivio, e che purtroppo venga scelta la strada più ovvia e meno interessante. I protagonisti sono bloccati, narrativamente c’era l’occasione di tentare strade nuove, psicologiche, innovative. Invece sembra che regista e sceneggiatori soffrano di debito d’ossigeno e scelgano l’opzione più “tranquilla”, quella di inserire altre pedine nella scacchiera tanto per smuovere le acque immobili. E purtroppo i piccoli “demoni ex machina” che irrompono sulla scena sono costituiti da quanto di più stereotipato si possa pensare per dei personaggi, a cominciare dalle loro facce banali.
A questo punto il film corre sui binari già visti dello zombie movie, i mutanti irrompono nell’hotel (era solo questione di tempo), la protagonista diventa un’eroina combattente e tosta e guida la scena fino all’abbastanza prevedibile epilogo.
Il film rimane comunque gradevole per un appassionato di zombie movie, peccato si respiri la sensazione di un’occasione mancata.

lunedì 23 luglio 2012

SUING THE DEVIL

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Dunque, l’idea è questa: un giovane studente in legge, dopo un anno particolarmente sfigato, pensa che la colpa dei suoi guai sia imputabile al Principe di questo Mondo, l’origine di ogni Male, ovvero Sua Maestà il Diavolo, e decide di citarlo in giudizio. E Satana, si presenta.

Figo no?

Non è tutto, reggetevi forte… Nella parte del buon Satana, in completo nero e dentiera bianca, troviamo il buon vecchio drugo Malcom Mcdowell, da sempre votato alle parti del bad guy e qui a interpretare il primo di tutti i bad guy.

Fighissimo no?

Beh, abbiamo esaurito tutto quello che si poteva dire di positivo di questo film, perché per il resto è un vero orrore. Involontario, purtroppo.

Non è neanche un horror (neanche alla lontana) e si può dire che solo per caso sia entrato nella lista degli horror su cui mi sto rimettendo in pari.

Lo spunto poteva dare adito a mille sviluppi, il resoconto grottesco o comico o drammatico o persino teologico del Processo del Secolo… e invece ne viene fuori un filmetto insulso e molto stupido, scritto e recitato malissimo, dove la morale è quella che la strada del Buon Gesù ci salverà tutti, persino in tribunale.

Su alcune battute viene da pensare che gli sceneggiatori non possano essere seri (“la Bibbia è la fonte più accreditata di fatti storici” e “il Diavolo ha inventato il rumore, i clacson, la musica techno e il gangsta rap per impedirci di sentire la voce di Dio”), o che stiano pensando a tutt’altro, magari a quale cheeseburger ingurgitare da lì a un paio di minuti (non ci vuole di più a scrivere uno script del genere).

Non bastano neanche le smorfie e il carisma innegabile del buon Malcom, e viene da pensare con tristezza alle carriere che proprio non vanno e ai compromessi che alcuni attori sono costretti ad accettare (mi rifiuto di credere che Malcom “Clockwork Orange” Macdowell non si vergogni di aver partecipato ad una schifezza del genere). Oltretutto, anche nella finzione, il vecchio Satana che fa il segno delle corna ai suoi supporter fa pensare ad un attempato rocker che non vuole cedere agli anni e tristemente fa il giovincello, non accorgendosi di essere ormai patetico.

E l’ultima perla che chiude il film (non me ne frega niente di spoilerare, in questo caso) la volete sapere …???

ERA TUTTO UN SOGNO!!!

Per dare un voto a questo film bisognerebbe scomodare i numeri sotto lo zero, o i numeri immaginari.

domenica 22 luglio 2012

EATERS

eaters03 Sì, è vero lo confesso: agli Europei non ho tifato per l’Italia (pur non arrivando a tifare contro) e mi ha fatto piacere vedere i giocatori spagnoli festeggiare con i loro bambini. Avete ragione, sono colpevole di antipatriottismo… per questa ragione ho deciso di fare ammenda cercando di vedere il bicchiere mezzo pieno di questo prodotto tutto italiano e, gonfio di amor non-morto patrio, prometto di non fare il solito disfattista.
Trama collaudata, essenzialmente un road movie di due cinici soldati in un’Italia devastata dall’Apocalisse Zombie. I sopravvissuti sono anche più orripilanti degli zombie: un gruppo di neo-nazisti comandati da un novello Hitler nano, un laido pittore dai discutibili gusti gastronomici e artistici, un prete cannibale e il solito dottore pazzo in vena di esperimenti…
Allora, lo sforzo c’è e si vede, e la passione pure. Gli effetti (soprattutto quelli non digitali) non sono niente male. Ci sono anche degli spunti interessanti (il morbo zombie come stato di crisalide per una specie di evoluzione umana)… Però…
Ragazzi, ma sono solo io che mi “smoscio” (in tutti i sensi) quando sento una recitazione “all’italiana” alla Don Matteo? (Non mi vogliano i fan di Don Matteo adesso…)
Battute che sembrano prese dalla parodia di un pulp ammmericano, personaggi assurdamente sopra le righe e stereotipati, l’immancabile storia d’amore e il sacrificio dell’amata ormai infettata (oltretutto senza battere ciglio, o quasi)…
No dai, non va… Una stretta di mano per l’impegno e un sorriso di simpatia, ma proprio non riesco a fare il tifo neanche stavolta.

sabato 21 luglio 2012

VINYAN

vinyan A quattro anni di distanza dallo straordinario Calvaire, Fabrice Du Welz torna a realizzare qualcosa di sicuramente conturbante e interessante, ma spiazzando tutti quelli che si aspettavano una prosecuzione della sua opera prima.
Non ci sono mostri, né zombie, né vampiri né psicopatici assassini (forse qualche fantasma, ma non è chiaro), ma solo il volto oscuro di una Natura ostile e incomprensibile, in cui gli uomini hanno la stessa valenza di un ramoscello, o di una zolla di terra fangosa, ed è forse una concezione di orrore ancora più spaventosa.
Burma, una coppia compie un viaggio della disperazione nei villaggi miserabili e sperduti nell’insperato tentativo di ritrovare il figlioletto perso nello Tsunami del 2004. Li accompagna un viscido boss della zona, a metà tra il santone ed il gangster, con l’evidente scopo di spennarli. Il viaggio si concluderà nel “cuore di tenebra” della foresta, nella progressiva distruzione psichica di entrambi e la conseguente “metamorfosi” di uno dei due.
Film difficile e “pesante”, in molti sensi, a cominciare dai titoli di testa quasi insostenibili (una semplice inquadratura di milioni di bollicine nell’acqua che man mano diventano rosse, e migliaia di urla che si levano per un paio di lunghissimi minuti).
L’inizio è dinamico, un’immersione multisensoriale nella realtà di una moderna città orientale, tra prostitute minorenni e ogni genere di locali, inferno sulla Terra e specchio dell’inferno personale dei protagonisti.
Poi, man mano che i due si addentrano nell’interno del paese, entrando in villaggi miserabili e infangati, le azioni rallentano, la distanza emotiva tra i due aumenta fino a farsi irrimediabile, visioni ripetitive affollano i loro sogni (ma sono sogni?) guidandoli sempre più verso il disastro.
I rimandi alla Natura melmosa, viscida, inspiegabile e profondamente ostile di Apocalypse Now sono evidenti, i protagonisti da un certo punto in poi abbandonano qualsiasi tipo di reazione: lei (una splendida e intensa Emmanuelle Béart) persa nei meandri della sua pazzia, lui paralizzato in un’apatia che non gli permette né di ostacolare l’evidente autodistruzione della moglie, né di abbandonarsi ad essa. Questa sorta di limbo emozionale rende i protagonisti spesso irritanti, non si capisce perché non lottino per contrastare gli eventi. Forse la risposta è che entrambi sono irrimediabilmente perduti sin dall’inizio, e non fanno altro che compiere il destino che hanno già scritto, nella loro resa spirituale, con la morte del figlio Joshua.
Se poi quest’ultimo sia o meno un Vinyan, ovvero un Anima Errante, lo lascio scoprire a chi vorrà vedersi questo strano film.
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lunedì 16 luglio 2012

PILLOLE DI RECENSIONI (HORROR)

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Infettato dall'orrore della vita mi sono autoprescritto un programma estivo omeopatico consistente nell'assunzione serale, più o meno quotidiana, di film horror relativamente recenti.
Procediamo con le recensioni in pillole, assolutamente e spassionatamente arbitrarie.
THE THING 2012: Ok, non è Carpenter (in effetti il film è un prequel più che un remake , ma la storia è essenzialmente la stessa) ma l'ho guardato con distaccato piacere. Belli gli esterni in Antartide. Colpi di scena piuttosto scontati ma tuttosommato pensavo molto peggio. Poi mi piacciono i film con cast nordici, tra maglioni e barbazze (vedi il ben fatto Troll Hunter).

THE SHRINE: Due giornaliste e un fotografo si trovano nei guai in uno sperduto villaggio della Polonia. Continui ribaltamenti di trama in qualche modo sorprendono lo spettatore (prima ci si aspetta un torture movie, poi spuntano fuori i demoni e infine il finalone a sorpresa dove ci si coalizza contro il Male). A mio avviso però l'appassionato horror è un cultore del genere e anche del sottogenere e apprezza sì l'innovazione ma all'interno di binari ben oliati. A parte questo comunque molto modesto. E neanche la consolazione di vedere la protagonista nuda (meriterebbe).

CAMP HOPE: Ho trovato sul web recensioni assai distruttive in realtà l'ho trovato raggelante. Di fatto non è proprio un horror, e non raggiunge la sottigliezza di un thriller psicologico, ma le dinamiche di un campo estivo fondamentalista cristiano toccano abissi di orrore che in casa Sawney (l'allegra famiglia cannibale del Texas) manco si sognano. Paradossalmente le scene dove si vede "qualcosa" abbassano il livello dell'orrore.

THE SILENT HOUSE: Una ragazza e suo padre intrappolati in una casa nel bosco. Non sono soli.
Horror ben costruito con la particolarità di essere girato in un unico piano sequenza. Non condivido l’opinione di alcuni che sia solo un esercizio di stile. Nulla di nuovo sotto il sole (anzi nel buio) ma la tensione è innegabile e la spiegazione dell’arcano è più che plausibile.

RED STATE: L’Amerika omofoba e bigotta delle congreghe religiose e dei predicatori folli contrapposta agli assassini in divisa che nel nome dell’antiterrorismo compiono qualsiasi nefandezza. Come suo solito Kevin Smith fa “straparlare” i personaggi, ma personalmente non lo vedo un difetto, essendo un amante dei dialoghi ben costruiti. Film “cattivo” e di denuncia, fino alla fine.

HATCHET: Un gruppo di idioti viene fatto a pezzi l’uno dopo l’altro in una palude della Louisiana dal solito redneck in salopette.
Slasherone volutamente anni 80, con fondali finti, personaggi stupidi che non dispiace vedere squartati, e il mostro di turno molto simile al ragazzone deforme di The Goonies. Non è il mio genere d’horror, mi si passi la “bestemmia” ma non amo neanche cicli ben più meritevoli come quello di Halloween o Venerdì 13. Cazzatona, insomma, ma i trucchi splatterosi old style non sono male, e viene da pensare che nel digitale di film d'alto budget non tutto il sangue è quello che luccica.

LIVID: Una giovane infermiera, assieme a due amici ladruncoli, entra di notte nella villa di una sua assistita, in coma, per cercare un fantomatico tesoro nascosto.
Mi piace la nouvelle vague dell'horror francofono, decisamente! Le atmosfere cupe di quei boschi (vedi il terribile e bellissimo Calvaire) sono uniche. Il film non è del tutto riuscito a causa di una certa noncuranza nella sceneggiatura, ma alcune visioni meritano, vedi il tè delle bambole con teste d’animali impagliate ed il carillon “anatomico”. Forse si poteva evitare il finale da favola dark ma secondo me la sufficienza la raggiunge.

domenica 15 luglio 2012

TAROCCHI DEI LUOGHI MISTICI

SCARABOCCHI YOGA – L’OSTACOLO

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Ed ecco il secondo Scarabocchio Yoga, pubblicato sul numero 51 di Yoga Journal, attualmente in edicola. Mi accorgo adesso che l'espressione incavolata dell'omino forse è poco yogica.
Ma riflettiamo un momento.
Di fatto, il nostro amico scarabocchio non sta facendo altro che focalizzare le sue energie dell'elemento Fuoco (quella che scientificamente viene chiamata "una sana incazzatura") convogliandole in punto unico, un focus. Non le disperde prendendosela con gli altri, con il destino o con se stesso, ma focalizza l'ostacolo e cerca di abbatterlo e/o superarlo.
Il passo ulteriore è quello di integrare l'ostacolo (avvalendosi stavolta dell’elemento Acqua e quindi del sentimento, “amare il nemico”) e rendersi conto che esso non è altro che l’espressione di un conflitto interiore non risolto.

Della serie: quando un disegnatore (anzi, uno scarabocchiatore) se l'aggiusta e se la sona.

Eh.