Nessun sogno è mai stato così insensato come la sua spiegazione. (Elias Canetti)

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lunedì 21 marzo 2011

LA GIOSTRA

 

Gli uomini dell’Invisibile e le donne del Concreto non potranno mai incontrarsi a livello profondo, ma solo nel momento misterico del contatto carnale.
Qui sta la grande frustrazione, perché le anime si annusano e si desiderano, ma un attimo dopo eccole indossare nuovamente il busto ortopedico del Mentale, e il momento trascorso diventa mito, e si dubita delle sensazioni provate fino a considerarle semplici proiezioni.
E gli uomini dell’Invisibile si immergono ancora di più nei loro regni interiori, gustando la nostalgia della realtà, e le donne del Concreto proseguono il viaggio nel mondo, alla ricerca di qualcosa che non possono trovare.

martedì 15 febbraio 2011

LEZIONI PER CINICI

philipmarlowe

Quanto mi annoia il cinismo. Non mi sentirò più in colpa di evitare accuratamente ogni conversazione con un cinico e le sue inevitabili lezioni su come va veramente il mondo.
Dietro ogni cinico si nasconde il bambinetto spaventato che vuole succhiare la tetta di mamma ma mamma è tanto cattiva e non gliela dà, e allora si rifà con tutte le bambinette spaventate quanto lui, abbagliate dal mito dell’uomo amareggiato dalla vita ma in fondo così tenero e sensibile.
Bambine, Buddha è Buddha. Un cane è un cane. Una rosa è una rosa è una rosa.
E uno stronzo, è uno stronzo.
Ha più palle spirituali un monaco zen che ha rinunciato a tutto e che accoglie le nostre arroganti e noiosissime dissertazioni logiche con un sorriso, che l’ultimo Philip Marlowe de noantri con la sua sigaretta e il suo trono da pub.
Se però, cinici, ritenete giusta la vostra strada e, per qualche improbabile ragione, avete voglia di parlare con me, allora abbiate il coraggio di bere il calice fino in fondo.
Volete essere cinici? Allora fate una cosa. Sanguinate.
Posate il coltello sulla pelle dell’anima e incidete, e quando fa male andate ancora più a fondo. Siate Bukowsky, o Celine. Allora al mio naso la noia che emanate come miasma ammorbante si farà profumo. Allora diventerete interessanti e spassionati, riuscirete a parlare della vita e dell’amore e della morte con candida leggerezza, e la gente riderà divertita, e voi sorriderete,  segretamente increduli di come nessuno del vostro pubblico sembri percepire l’urlo continuo, silenzioso e disperato della vostra anima.
Incidete a fondo, aspiranti cinici, sanguinate e sanguinate, fino a che, nel fondo della ferita, suppurerà una sostanza profumata, la stessa che avvolse Hank negli ultimi anni della sua vita rendendolo un vecchio saggio ubriacone. Si chiama amore.
Ma lo capisco, non è roba per cinici.

lunedì 25 gennaio 2010

MILANO, QUALCHE VITA FA


Mi guardo le dita, sfregando i polpastrelli, sporchi di grafite.
Mi sarebbe piaciuto carezzar corde, come si carezza la pelle di una donna e la sua seta.
A grandi passi il ballerino entra e la stanza trattiene il respiro.
Rumori di tacchi che percorrono corridoi di albergo, al primo mattino, quando si svegliano voci senza corpo di inservienti e fantasmi.
Forse da qualche parte ci sei anche tu.
Un fondale di città e, sopra, l’abbozzo della mia figura tratteggiata sul vetro.
Il ballerino ingaggia una lotta contro il vuoto, lacerando un pomeriggio di gechi e polvere.
L’Universo pesa sul letto, coperta ruvida color caffellatte e lenzuola a prestito.
Là fuori da qualche parte è nato il tango, nei miasmi fetidi di qualche giungla, gigantesche madri color ebano e seni lucidi di olio e sale.
Da qualche parte sono nato io, in questo albergo di stanze che sbadigliano e radio che bisbigliano.
Il ballerino volteggia diabolico, biblici denti che stridono con suono di ottoni e motori scarburati.
Qualcuno mi ha dato la chiave sbagliata.

giovedì 21 gennaio 2010

NOTTURNO

Il saggio indica la Luna, il bambino la tocca.

venerdì 27 novembre 2009

KAFKA IN TRATTORIA


Si scrive per ambizione, si scrive per dimostrare qualcosa a se stessi e al mondo, spesso si scrive per amore o per disprezzo delle parole stesse, diventando strumenti dello strumento; si scrive per vendere un tanto al chilo, rimestando nel calderone delle parole già dette e già sentite, ravanando nei cantucci più nascosti dei magazzini interiori, dando fondo ai prodotti scaduti, sperando che il pubblico non noti il trucco, o segretamente augurandoselo.
Si scrive e si pensa di scrivere, fino a che nell’animo avviene qualcosa di strano, nel brodo primordiale delle reazioni sinaptiche avviene una piccola teofania, un rimasuglio di divinità venuta chissà dove s’incarna nei gangli e dà forma ad una specie di buffo idolo, un vitello dalla finta doratura, misero scrigno di alleanza tra il fango dell’esistere e i nostri ideali.
E diamo voce a questo anelito e lo chiamiamo “LETTERATURA”
Osserviamo allora con attenzione questo esemplare di pensatore, guardiamolo affannarsi nell’esistere come arrancando immerso in pozze fetide e ghiacciate, mente e animo levati alla sua Dea personale e salvifica, LETTERATURA.
Che se fosse una specie di codice, più o meno morale, utile al mero atto di scrivere, come se ne potrebbe parlar male?
Invece diventa un surrogato di vita, una dirittura, una meta lontana e sognata, irreale agli stessi occhi del sognatore e tanto più ambita quanto infantile, stentata come la spiegazione di un pazzo.
E per questo piccolo dio nato nelle nostre putredini, il novello zelota si oppone fieramente alla vita, e a tutto quello che gli puzza di realtà. Fino a trovarsi a non discernere più un senso nelle cose, fino a interpretare il senso nascosto di una serata al ristorante con i paragrafi ossessivi di American Psycho, o il senso di solitudine tra gli umani con il dandismo campagnolo di Landolfi, spedendo emissari alle lontane contrade della sua memoria, come in quel racconto di Buzzati, aspettando invano una risposta…
E intanto la serata scorre, e le bocche, dalle facce, si rimbalzano argomenti, belli rotondi e lucidi come mele di cera, argomenti da accarezzare e palleggiarsi, senza mai correre il rischio di addentarli per scoprirne il nocciolo di luce, od il fetido marciume.
Ho rovesciato il mio vitello d’oro, ma non mi rimane altro, ormai da tempo non posso vivere più nella tribù.
Il corpo ti frega, il corpo è il primo nemico di questa cosa chiamata LETTERATURA.
Forse perché il corpo è l’antitesi dell’astrazione, il corpo è il qui e ora, lo scrivere è dietro e avanti, ma qui, mai presente.
Kafka, dolcissimo martire, l’aveva capito prima di tutti noi, sottoponendo il suo alter ego di carta alla tortura della Macchina nella colonia penale, che incideva nella carne, all’infinito, le righe che ci restano da scrivere.
Già, le righe che ci restano da scrivere… Per chi o per cosa? Per la gloria, per i nostri “simili”? O per risvegliarci da questo sogno, e trovarsi catapultati in un altro?

“E svegliandosi un mattino da sogni inquieti, M.F si ritrovò nel suo letto trasformato in un umano gigantesco, e passò la restante vita a rimpiangere gli splendidi giorni di scarafaggio.”