Nessun sogno è mai stato così insensato come la sua spiegazione. (Elias Canetti)

mercoledì 2 dicembre 2009

LA FAVOLA DI HASSAN


Qualche tempo fa, in queste contrade, vagava un giovane uomo di nome Hassan.
Quale strano animale sia un nome, miei invisibili amici, non è argomento di cui possa spiegarvi più di quanto già sapete, poiché una delle tradizioni più solide e condivise, in queste lande, è quella di scegliersi nomi ed addobbarseli addosso, in qualche modo.
Alcuni li sfoggiano, altri li portano gelosamente sotto il cappotto, altri li gettano sul tavolo, alla mercé del mondo, e li cambiano senza rimorsi una volta venuti a noia. E la notte si riempie di nomi ripudiati che s’aggirano in cerca di corpi innominati, e ululano alla Luna e piangono nelle paludi, poveri nomi senza corpo… ma questa è un’altra storia.
Dovrete avere pazienza, scantono spesso e mi perdo, come tutti quelli che volendo raccontare del mondo finiscono per descrivere il muricciolo di pietre colorate sull’uscio di casa.

C’era Hassan, dicevamo, un uomo con un nome.
Il giovane uomo non si era chiamato sempre così, questo nome gli era stato donato e imposto da una giovane strega dai capelli fulvi, o da un’affascinante succubo incontrato in sogno, la memoria lo confonde a riguardo.
Hassan, forte del suo nuovo nome e pungolato da uno sciame di sogni, partì dal suo villaggio.
Seguendo la strada tracciata dalle stelle (stelle che lui stesso aveva accuratamente posizionato nel proprio cielo), nelle notti solitarie, la schiena poggiata alla cavalcatura sonnolenta, immaginava gli onori e la gloria in cui, invariabilmente!, si sarebbe ben presto imbattuto.
Così, nelle lingue del fuoco del bivacco, vedeva cose.
Intravide una città dalle strade lastricate di nudità di schiave e schiavi, a sostenere i passi di padroni alteri e maghe oscure i quali, giunta la notte, a loro volta si denudano e prendono il posto dei loro servi, in un’altalena di dominanza che disorienta il viandante giunto lì per caso, alla vista di questi selciati viventi ribollenti di amori feroci e tenere lussurie.
Vide anche, oltre la città dalle strade viventi, una torre solitaria, sorvegliata da cani feroci (o da uomini con sembianze di cani, la visione era imperfetta). Una scala a chiocciola portava in cima, nell’unica stanza della Torre, dove una principessa dormiva un eterno sonno senza sogni, circondata da strane statue senzienti e mute, ognuna di esse effige di un antico salvatore che aveva sognato di conquistare il cuore gelido della fanciulla.
Hassan vide tante e tante cose, nelle fiamme di quel fuoco, e di tante cose si sarebbe potuto innamorare.
Ma, senza accorgersene, si innamorò invece del proprio nome.

Tutti sappiamo la peculiarità dei nomi, accozzaglia di lettere che, isolate, non potrebbero che ripetere a pappagallo il loro gutturale pensiero, ma che intrecciate tra loro creano un senso… e qualcos’altro.
Tutti sappiamo che i nomi sono magici.
Il nome di Hassan, nell’animo già esaltato dell’uomo, evocò immagini: oasi di riservate lussurie, nascoste da insospettabili palmizi; solitari e mistici uomini blu; donne dal volto velato ed i meravigliosi piedi nudi, arabescati di hennè, percorsi ad uso e gusto di lingue esploratrici; jiin ermafroditi racchiusi in lampade bronzee, pronti ad esaudire tre perversioni e possedere poi l’incauto fortunato; ed ancora nude e furbe sherezade, padrone dei loro padroni visir, sadici e patetici.

Ma, su tutte queste immagini, una. Il Deserto.

Questa misera storia si sta facendo già troppo lunga, e posso immaginare gli sguardi annoiati e gli inevitabili sospiri, così non starò a dibattere sulla natura del Deserto. Forse è uno stato della mente, forse è il Primo Luogo, da cui sono scaturiti come in un sogno tutti gli altri, o forse è solo una piatta e monotona distesa di sabbia.
Per Hassan il deserto fu la logica conseguenza dell’immagine che si era fatto di se stesso, in quelle notte solitarie a guardare il fuoco. Il deserto è il vuoto immenso che attira le anime che aspirano a vivere da giganti, e che in quella desolazione trovano conforto, poiché non è permesso alcun confronto.

E Hassan seguì le piste carovaniere del suo deserto interiore, ricoprendo intere pergamene di una grafia fitta e minuta, inventando oasi e città, perlustrando coste e scoprendo sorgenti nascoste.

Le strade di polvere a cui aveva appena dato un nome si confondevano dietro i suoi passi, scomparendo nella luminosa uniformità delle sabbie. Le fanciulle favoleggiate e lo irridevano al bordo del fuoco del bivacco, rivelando la loro illusoria natura di miraggi (e in quanto tali, più reali del vero! gridavano contente, trasparendo nell’aurora).
A conti fatti, gli unici compagni con cui divideva gli avanzi dei pasti frugali erano da sempre le lente lucertole azzurrine, che, acquattate ai suoi piedi, lo guardavano strizzando gli occhietti neri come il cosmo.

Un giorno, Hassan giunse ad un ridente villaggio, dove si teneva una fiera di mercanti. Per l’occasione le genti del Deserto si riunivano, e le strette stradine tra le basse case di arenaria e di calce si riempivano di risate, vesti colorate, grida e suoni di improbabili strumenti musicali.
Hassan s’aggirava per quei vicoli ingombri di varia umanità, solo a se stesso, come sempre, quando vide qualcosa che risvegliò il suo interesse.
La cosa giaceva tra altre, alla rinfusa, sul bancone di un mercante.
Hassan, affascinato, la comprò per un quarto di moneta d’argento.

La cosa non era altro che una bolla di vetro, al cui interno, sospesa in una soluzione oleosa, c’era della sabbia. Agitando la bolla, la sabbia si sollevava, per ricadere pigramente, simulando, nelle intenzioni dell’inventore, una tempesta del deserto in miniatura.
Un piccolo oggetto di dubbio gusto, banale e dimenticato tra tanti altri, giunto chissà come in quella contrada al limite della grande Solitudine riarsa dal Sole.
Ma Hassan vi aveva visto altro, che forse nessun altro oltre lui poteva vedere.
All’interno della bolla di vetro, Hassan vide le stesse piste di sabbia da lui percorse, e le stesse città da lui scoperte. Vide i miraggi di mari lontani e i profili delle montagne, gli stessi paesaggi che aveva intravisto nei suoi viaggi solitari, al finire del giorno, quando stanco ma assetato di nuove visioni spingeva lo sguardo contro le mura della notte.
E infine là dentro vide lui stesso, un minuscolo gigante a bordo del suo cammello che veleggiava solitario, nello spazio sconfinato di una bolla di vetro.

Rise, per celare la profonda nausea che provava di se stesso, quindi prese dalla bisaccia tutti i suoi appunti di viaggio e le mappe, fino a pochi istanti prima così preziose da giustificare una vita di eremitaggio, e le gettò lontano.
Le carte si aprirono nell’aria come uno stormo di uccelli felici, assaporando la libertà, e finirono sul selciato, tra i calzari della gente, nella sabbia.
Alcuni bambini però non si lasciarono sfuggire l’accaduto, e, incuriositi, sgattaiolarono tra le gambe dei passanti, recuperando tutte le carte in un nuovo gioco improvvisato.
La sabbia dorata s’era unita all’inchiostro ancora umido, e le righe di grafia si erano ora trasformate in un interminabile arabesco formato da un unico filo d’oro.

E Hassan, finalmente, comprese.

La linea che aveva cercato, il suo filo d’oro, non era là fuori, nel deserto della sua mente, ma lì di fronte ai suoi occhi, sulla pergamena che un ragazzino ridente gli stava porgendo.
La magia di un nome l’aveva portato ad isolarsi in un suo mondo di sogno, dove si sentiva un gigante.
Dopo un primo momento di rabbia, per aver sprecato tanti anni della sua vita, Hassan comprese che rifiutare quel nome, od incolparlo del suo isolamento, avrebbe avuto lo stesso valore del gesto del bambinetto che strappa dalla terra la pianta spinosa con cui si è punto il dito.
E così lo arricchì, completandolo, abbellendolo con il filo d’oro di un altro nome.

Rinnovato, sconfitto ma sereno, Hassan rinunciò ai romitaggi.

Salì le scale di un palazzo di pietra rossa, sorvegliato da un possente leone di bronzo, con l’unica intenzione di trovare un posto oscuro dove poter riposarsi per un po’, con un tetto sopra la sua testa. Lo sguardo delle stelle gli era venuto improvvisamente a noia.
Il palazzo era pieno di stanze, ed in ogni stanza c’era vita, persone che come lui avevano attraversato il deserto, pensando in cuor loro di essere gli unici ad aver preso questa decisione.
Il grande Deserto solitario brulicava di vita inconsapevole, ora Hassan lo poteva vedere chiaramente.

Nell’ultima stanza, con grande sorpresa, Hassan trovò la stessa maga dai capelli ramati che, secoli prima, gli aveva regalato il nome.
Lo stava aspettando da molto tempo, perché, disse lei, alla fine è qui che giungono tutti quelli che si chiamano Hassan.

Ora, nel villaggio ai confini del Deserto, si aggira un uomo di nome Hassan Fildor, che qualche volta sente spirare il vento freddo del Deserto, nel suo cuore.
In quelle sere si accosta al fuoco, nella grande sala della taverna, gli piace ascoltare, guardare negli occhi le persone, e a volte, a pochi, raccontare le storie del deserto. Ha dimenticato se sono vere o fantasia.

Intanto un bambino, nella strada, sotto le stelle polverose, gioca con una bolla di vetro.

2 commenti:

  1. Ciao Massimiliano, sognatore incallito, uno dei pochi conosciuti in rete che mi hanno fatto rimpiangere la lontananza fisica, allora come ora nonostante l'entropia e l'oblio. Ti ho ritrovato (quasi) casualmente e sento sempre un grande "accordo" istantaneo col tuo cuore. Ti lascio alle tue dune e ad un pensiero-antidoto...per ogni volta che credi di essere in un vicolo cieco:

    **L'Uomo è qualcosa che deve essere superato!**

    Un saluto dalla mia isola. Aldo (ex u_a)

    p.s. ad ogni buon fine wfradolcino@yahoo.it

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  2. Ciao Ultra, onirico isolano e navigatore dell'etere, che bello rileggerti!
    Si naviga e si approda in strani posti, come in questa modesta isoletta qua, dove sei sempre il benvenuto ogni volta che vorrai farmi l'onore di passare. Come avrai notato sto anche riciclando qualcosina, ma tra poco, se vorrò continuare, i post saranno tutti nuovi e appositamente scritti per il Giardino.
    Un abbraccio!

    **Quest'anno va il SuperUomo!** :P

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